Durante l’ultimo decennio ed ancora più negli ultimi due anni della pandemia Covid 19 si è sempre più diffuso il fenomeno del commercio on line.

Favorevoli o contrari che si sia, ormai quasi nessuno può affermare di non avere acquistato nell’ultimo anno almeno un prodotto on line; moltissimi operatori economici, da parte loro, hanno tentato di entrare nel mercato globale degli acquisti on line. E’ un operatore on line uno tra gli uomini più ricchi del mondo, la cui azienda nel
2021 ha registrato un raddoppio degli utili giunti a 14,32 miliardi di dollari, mentre i ricavi della sua azienda sono saliti a 137,41 miliardi di dollari segnando un +9%.
Ciò vuol dire che sempre più beni o la prestazione di servizi che interessano il consumatore riguardano l’ambito dell’e-commerce, inteso come insieme delle operazioni commerciali per beni o servizi che si attuano fra soggetti mediante l’uso di strumenti informatici (acquisti off-line) e telematici (acquisti on-line).

Per quanto riguarda il diritto queste transazioni – quali generalmente intesi come contratti telematici- sono considerati accordi regolati dall’ art. 1321 codice civile, stipulati tra soggetti fisicamente assenti che utilizzano computers o altri strumenti informatici collegati tra loro.

Il Codice del Consumo si occupa di tale tipologia di rapporti a partire dall’art. 50 e seguenti specificatamente per i contratti conclusi tra professionisti e consumatore. L’e-commerce o commercio on line si caratterizza per essere organizzato tramite contratti a distanza, ovvero conclusi fuori dai locali commerciali, la cui normativa di riferimento è contenuta nel Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 70: “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”.

I contratti virtuali conclusi on line possono essere distinti secondo l’insegnamento della dottrina giuridica rispettivamente come contratti B2B (business to business) se riguardano le sole imprese, in contratti B2C (business to consumer) se stipulati fra imprese e consumatori, in contratti B2A (business to administration) se stipulati tra pubblica amministrazione e cittadini e imprese, e infine in contratti P2P (peer to peer) fra soggetti privati attraverso determinate figure professionali (ad es. le aste on-line).
Gli acquisti on line presentano una serie di problemi, ne analizziamo solo alcuni. Il primo è rappresentato dal fatto che la merce venduta non viene mai consegnata oppure è rappresentata attraverso foto e descrizioni che non sempre garantiscono l’acquirente sulla esatta corrispondenza tra il bene visto sul negozio virtuale e quello che gli viene poi effettivamente consegnato.

In altro caso il bene acquistato – pensiamo a capi di vestiario – non è adatto alla persona che lo acquista: pur essendo della taglia giusta, non è indossabile dall’acquirente.
Ancora e non meno grave, sfruttando pratiche commerciali aggressive e/o accattivanti tali da alterare la capacità di valutazione del consumatore, lo si induce all’acquisto dei prodotti reclamizzati a prezzi esorbitanti, recapitando poi, spesso con considerevoli ritardi, prodotti con caratteristiche profondamente diverse e privi delle specifiche funzioni pubblicizzate.

Sul primo caso occorre ricordare che è configurabile la truffa contrattuale solo in caso di mancata consegna di merce offerta in vendita e acquistata sul web, qualora al versamento di un acconto non faccia seguito la consegna del bene compravenduto e il venditore risulti non più rintracciabile.
In tali casi di rilievo penale il consumatore deve sporgere apposita querela presso le Autorità preposte (Procura della Repubblica, Polizia di Stato, Carabinieri) al fine di provocare l’esercizio della azione penale. Molte piattaforme di pagamento virtuale garantiscono il consumatore da tali truffe, proponendo un loro specifico
servizio di rimborso totale e/o parziale di quanto speso.

Ovviamente non c’è reato ma solo inadempimento contrattuale – che comporta la restituzione di quanto già versato – in caso di omessa consegna del materiale posto in vendita sul sito Internet dopo l’avvenuto pagamento quando ciò è dovuto alla mancata disponibilità del detto materiale (già venduto ad altro o non più nella disponibilità del venditore).

Interessante notare – proprio a tale proposito – come l’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato abbia ritenuto pratiche commerciali scorrette quelle di una società dedicata alla vendita all’ingrosso e al dettaglio di articoli di abbigliamento di marchi rinomati, con prezzi ridotti con sconti fino al 70 per cento rispetto a quelli praticati nella normale distribuzione, che avvalendosi anche di altri siti Internet :

1) forniva ai consumatori informazioni non veritiere sui tempi di consegna dei prodotti offerti in vendita attraverso Internet, anche consegnando prodotti diversi da quelli ordinati, ovvero giunti a destinazione oltre i tempi pattuiti;

2) nell’aver opposto ostacoli all’esercizio di diritti contrattuali da parte dei consumatori, consistenti principalmente nella difficoltà di contattare i fornitori del servizio o la mancata sostituzione del prodotto diverso da quello ordinato;

3) invitava all’acquisto di prodotti a un determinato prezzo, senza rivelare l’esistenza di prevedibili ragioni che avrebbero impedito la consegna degli stessi a quel prezzo, né comunicava di non essere in grado di fare fronte a tutte le richieste di acquisto, peraltro, pagate anticipatamente e contestualmente all’invio dell’ordine.

Diversa ipotesi è quella in cui viene consegnato un prodotto differente da quello ordinato o non conforme a quello che si era ordinato. Ovviamente il consumatore ha diritto di recesso e restituzione del bene con sostituzione del prodotto effettivamente ordinato oppure del rimborso di quanto versato. Alcuni operatori, però, nel riconoscere il diritto di recesso si riservano di far pagare le spese di spedizione del prodotto. Il consumatore dovrà valutare, quindi, attentamente prima di acquistare quale sia la politica del reso applicato dall’operatore commerciale in questione.

Il diritto di recesso è disciplinato dagli artt. 52 e seguenti del Codice del Consumo (come modificato dal Dlgs 21 febbraio 2014, n. 21). E’ prescritto che al consumatore deve essere garantito un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza che lo stesso sia tenuto a dover fornire alcuna motivazione e senza che debba sostenere costi, con le sole eccezioni previste all’articolo 56, comma 2, e all’articolo 57. Da un lato, quindi, il venditore ha l’obbligo di rimborsare integralmente il consumatore nel caso del recesso, incluse le spese di consegna del prodotto, entro quattordici giorni dal giorno in cui è stato informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto: ovviamente il rimborso è condizionato dalla prova che il consumatore ha rispedito i beni per i quali ha esercitato il recesso.

Usualmente il venditore deve eseguire il rimborso utilizzando lo stesso mezzo di pagamento utilizzato dal consumatore per l’acquisto originario.
Attenzione però che (art. 57 del Codice del Consumo) quando il venditore non si sia offerto di sostenere i costi di restituzione, il consumatore che ha esercitato il diritto di recesso dopo la ricezione dei beni è obbligato a restituire tali beni, sostenendo a sue spese i costi diretti della restituzione.

Il consumatore deve ricordare, poi, che quando il venditore professionale non fornisce al consumatore tutte le informazioni necessarie per consentirgli di esercitare il diritto di recesso, il recesso può essere esercitato per un periodo fino a 12 mesi dalla vendita (art. 53) o anche in caso di diminuzione del valore dei beni (art. 57).
I costi di restituzione a carico del consumatore non saranno in ogni caso dovuti, di contro, quando il bene consegnato non è quello ordinato, oppure è diverso (per tipologia, marca, colore, caratteristiche) da quello oggetto di acquisto, oppure ancora non è adatto all’uso convenuto.
Infatti il professionista venditore risponde verso il consumatore di ogni “difetto di conformità al contratto di vendita”, vale a dire d’ogni differenza tra le caratteristiche dichiarate di un prodotto e quelle proprie dell’articolo acquistato, secondo quanto previsto dall’articolo 129 del Codice del Consumo.
Infine occorre tenere presente che la garanzia per il prodotto acquistato non può essere inferiore di 24 mesi.

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