Abbiamo già affrontato la querelle tra il governo americano e Huawei, che ha portato il colosso cinese ad essere inserito nella Entity List, la “lista nera” del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d’America che impedisce, a meno di speciali deroghe, di commerciare con aziende americane.

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Dopo alcuni rinvii della data di entrata in vigore del ban, iniziano a farsi sentire i primi effetti; nella giornata di ieri infatti sono stati presentati a Monaco di Baviera tre nuovi smartphone appartenenti alla gamma Mate 30, con Android ma sprovvisti della certificazione Google Play, impossibile da ottenere in quanto rilasciata dal gigante statunitense delle ricerche online. Il non ottenimento di questa licenza esclude Huawei dall’accesso a, tra gli altri, Play Store (lo store app di Google), Maps, Chrome, YouTube, Gmail, Play Protect, un sistema di protezione che controlla le app installate sul telefono al fine di verificare la presenza di virus o malware, e ad un programma per facilitare la diffusione prioritaria di patch e altri aggiornamenti di sicurezza.

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La situazione si complica in quanto Google Play contiene anche i Play Services, una serie di API, degli strumenti per facilitare l’integrazione di “pezzi” dei servizi Google nelle app Android, come ad esempio per visualizzare una mappa di Maps in un servizio per la localizzazione di ristoranti, il che impedirebbe ad alcune tra le app più diffuse di funzionare correttamente sui nuovi dispositivi della casa di Shenzhen.

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Durante la presentazione, Huawei ha comunicato l’inserimento nella sua versione di Android del proprio app store chiamato App Gallery, che al lancio includerà già le app più popolari, come Facebook o WhatsApp, ma resta da vedere se l’azienda, forte del suo 32,9% sul mercato, riuscirà a convincere anche gli sviluppatori medio-piccoli a rivedere la loro dipendenza dai sopramenzionati Play Services.

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