Sono passati due mesi dal referendum sull’acqua, la popolazione ha votato i quesiti riguardanti la gestione delle risorse idriche e la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito laddove la determinazione delle tariffe è determinata anche in base all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito.
Ora anche se il referendum ha avuto un riscontro positivo nella votazione, le aziende non hanno dato seguito al dettato referendario e alcune l’hanno accantonato sospendendo gli investimenti e ora che bisognerebbe migliorare la rete non si sa cosa fare. 
Dopo il 12 e 13 giugno insomma non è cambiato nulla.
I promotori della consultazione hanno scritto una lettera a tutti gli Ambiti di territorio ottimali (Ato) chiedendo loro di tagliare con effetto immediato tutte le bollette. Senza risultato: i prezzi in un vuoto legislativo non sono cambiati. E per i big del settore da Acea all’Iren fino a Hera l’acqua continua, almeno fino al varo della nuova authority, a essere il business di sempre. Anche se tutti, in attesa di un quadro normativo definitivo, hanno messo per il momento in congelatore i nuovi investimenti. L’ipotesi di un disimpegno immediato delle municipalizzate dal mercato dell’acqua sono dunque per il momento accantonate. I contratti esistenti tra gli Ato e i gestori vanno avanti fino alla scadenza e devono essere rispettati e non ci sono novità rispetto al passato.
A dettare le regole dovrebbe essere la nuova authority messa in cantiere dal governo. L’organismo di garanzia sarebbe dovuto essere nominato in questi giorni ma da tempo se n’è persa traccia. Risultato: le bollette restano ancorate ai vecchi criteri di calcolo.
In Sicilia troviamo la situazione peggiore infatti viene perso il 43% d’acqua, nel capoluogo regionale, a Catania e Siracusa supera il 50%.  Ci sono due differenti perdite nella regione: quella causata da perdite di rete e quella economica che mette insieme furti d’acqua, cattiva manutenzione, ma anche contatori vecchi che non sono parametrati con i nuovi flussi idrici.
Oltre ai problemi legati al referendum c’è un altro ostacolo: l’acqua arriva quasi dappertutto, ma quando rientra nell’ambiente naturale è sporca, inquinata o mal depurata. L’Italia ora rischia una multa da parte della Comunità Europea davvero salata.  Secondo la Commissione europea il 40 per cento dei comuni italiani in cui non funzionano fogne e depuratori è in Sicilia. La Corte di giustizia comunitaria potrebbe multare la Sicilia che rischia sanzioni milionarie.
Soluzioni concrete possono essere trovate ma il Governo deve muoversi in questa direzione e non remare contro, l’acqua è un bene, una fonte esauribile e la cura negli impianti deve essere portata avanti dall’inizio alla fine.
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