La celiachia, una patologia di cui sono affetti circa il 27% degli italiani, secondo le statistiche condotte nel 2015, una cifra che non rispecchia completamente la situazione attuale poiché ancora non diagnosticata in tutti i  pazienti i quali, pur presentandone i sintomi, ne ignorano l’esistenza.

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Fino a qualche anno fa reperire alimenti senza glutine non solo risultava molto difficile ma anche costoso: i prodotti commercializzati erano acquistabili solo presso le farmacie che di fatto detenevano il monopolio nel settore; fortunatamente negli ultimi anni il mercato della vendita di prodotti gluteen free si è ampliato includendo anche parafarmacie e negozi specializzati, nonchè punti vendita GDO che hanno reso più concorrenziali anche i prezzi, a beneficio dei consumatori.

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Alla luce delle ricadute che tale regime alimentare speciale comporta, soprattutto nelle tasche dei cittadini, sono stati previsti dei contributi per coloro i quali sono affetti dalla patologia, il cui tetto di spesa viene definito da una legge dello Stato, ossia dal Decreto Veronesi del maggio 2001 e poi il decreto 4/5/2006, attribuendo però alle Regioni il compito di decidere come erogarlo.

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Ciò ha chiaramente innescato un meccanismo che genera notevoli differenze tra i celiaci delle varie Regioni non solo in relazione all’accreditamento del contributo pubblico, ma anche rispetto all’erogazione dei prodotti: se in alcune Regioni infatti gli affetti da celiachia devono obbligatoriamente recarsi presso la ASL per ritirare i buoni cartacei mensili, i celiaci lombardi possono acquistare i prodotti gluteen free semplicemente mostrando la propria tessera sanitaria su cui è stato accreditato l’importo mensile. La situazione diventa ancora più complicata se si prendono a riferimento i differenti modelli organizzativi da parte delle amministrazioni regionali: il celiaco toscano infatti riceve buoni da 20, 10 e 5 euro e può utilizzarli quando vuole nell’arco del mese e soprattutto dove vuole, una scelta che gli permette di risparmiare; non ha invece la stessa possibilità il celiaco campano che può ritirare gli alimenti una/due volte al mese, ma deve farlo in un unico punto di distribuzione.

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Su tale questione recentemente è intervenuta l’Antitrust, la quale ha ribadito la necessità di offrire a tutti i cittadini nel territorio italiano di poter acquistare  gli alimenti necessari alla propria dieta presso diversi esercizi commerciali, quali, in aggiunta al canale farmaceutico, le parafarmacie, i negozi specializzati e i punti vendita della GDO  dove sono presenti, con le rispettive linee di prodotti senza glutine, anche gli stessi operatori della GDO con i propri marchi privati (cd. private label) e le industrie alimentari. Se tale suggerimento trovasse una concreta ed immediata applicazione, permetterebbe di garantire un’opportunità di scelta maggiore per i consumatori celiaci, costituendo un importante strumento concorrenziale in grado di stimolare una riduzione dei prezzi a vantaggio di coloro che soffrono di tale patologia.

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Tale modifica però, deve essere necessariamente accompagnata da un sistema unico nazionale di gestione del contributo, senza demandare la modalità di erogazione alle Regioni.

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