Sì a un menù a base di pesce, ma limitare le specie di grossa taglia a una volta alla settimana. È questo il suggerimento che arriva dal Cnr, alla luce dell’allarme lanciato negli Stati Uniti sull’elevato tasso di mercurio riscontrato in alcune specie ittiche a New York.  “Tutto dipende dalle quantità e provenienza del pesce consumato” spiega Nicola Pirrone, ricercatore dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr, che invita a fare un’attenta e reale valutazione del rischio. “Il mercurio si accumula soprattutto nei predatori di grossa taglia e proviene dall’inquinamento industriale riversato nell’acqua, ma anche dall’andamento climatico. Può portare alterazioni nello sviluppo cerebrale dei bambini e, a un livello più alto, alterazioni neurologiche e cardiovascolari negli adulti, ma solo se ingerito in quantità massicce e non certo in una porzione di pesce”.
A stabilire il livello di metalli presenti nelle parti commestibili dei prodotti ittici, è l’Ue con il Regolamento n. 221/2002, che prevede un quantitativo massimo di mercurio di 0,5 milligrammi per kg di prodotto fresco, ad eccezione di alcune specie come il tonno, la palamita, il pesce spada, l’anguilla, il branzino, lo scorfano e il luccio, dove è tollerata la presenza di 1 milligrammo di mercurio per kg.
Secondo la Lega Pesca i parametri stabiliti dall’Ue tutelano i consumatori, anche perchè per incidere seriamente sulla salute, occorre mangiare 35 kg di pesce l’anno e solamente delle specie che toccano i massimali di mercurio.

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