A lungo internet è stato considerato il far west della pubblicità, ma negli ultimi anni l’intervento dei legislatori ha cercato di dare un freno alla corsa al nuovo oro del Klondike, i dati personali, con risultati tutto sommato soddisfacenti in Europa grazie al GDPR; naturalmente, affinché queste misure risultino efficaci, è necessario che ci sia un mutamento nel modo di pensare e di valutare la privacy da parte dei grande pubblico. Quindi, cosa ne pensano i consumatori finali?

A questa e ad altre domande ha cercato di rispondere Accenture Interactive con il sondaggio Consumer Pulse Survey: See People, Not Patterns, da cui emerge che il 76% degli italiani abbandonerebbe i brand troppo disinvolti nella raccolta dei dati personali e il 63% trova inquietante che gli assistenti vocali registrino le loro preferenze.

Fortunatamente non spesso, capita di dover affrontare un data breach, vale a dire la violazione di un servizio o un sito al fine di sottrarre informazioni sensibili, compresi nome utente e password utilizzati per l’accesso. A questa evenienza, il 42% degli intervistati modificherebbe la propria password, il 39% non utilizzerebbe più il sito e il 35% analizzerebbe con più attenzione le politiche sulla sicurezza dell’azienda.

Gli italiani non sono di principio contrari alla raccolta dati, tanto che addirittura l’83% di loro sarebbe disposto a cedere le proprie informazioni personali a condizione che i brand specifichino in modo trasparente come e dove vengono utilizzate, ma sembra non tollerino l’invasività: il 62% di loro ritiene che la pubblicità di un’azienda sia invasiva quando ottiene ed utilizza informazioni su di loro o sulla loro famiglia senza che esse siano state esplicitamente condivise e il 51% crede che la pubblicità invasiva sia in aumento.

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