In questa rubrica abbiamo finora affrontato le problematiche relative agli sprechi alimentari e a come evitarli. Ma cosa succede per quegli scarti che non è proprio possibile recuperare, o per lo meno trasformare in cibo? Semplice, trasformarli in plastica o meglio, in bioplastica; quest’ultima è, a differenza di quella tradizionale, biodegradabile e può essere composta da fonti fossili o, come in questo caso, da biomassa.
L’invenzione arriva d’oltremanica, dalla giovane designer britannica Lucy Hughes, che si è aggiudicata il James Dyson Award (che porta il nome dell’inventore dell’aspirapolvere senza sacchetto), sbaragliando oltre mille candidati da 27 paesi e portandosi a casa l’ambito premio di 30 mila sterline.
MarinaTex, questo il nome del ritrovato, utilizza per la prima volta scaglie e pelle di pesce risolvendo due problemi: l’onnipresenza di plastiche usa e getta, alle quali l’Unione Europea sta già dando battaglia ma che rappresentano ancora un problema in buona parte del mondo, e gli scarti di lavorazione del pesce, che nel solo Regno Unito ammontano a 500 mila tonnellate all’anno e che finiscono interrate o incenerite. E considerando che da un solo merluzzo atlantico, secondo la Hughes, è possibile produrre fino a 1,400 buste, MarinaTex si pone come una seria soluzione ad un problema globale.
Il materiale, poi, centra anche tutti gli altri punti: la sua produzione non consuma troppa energia, viene prodotto esclusivamente da scarti preesistenti (non inficiando quindi sulle risorse della Terra) ed ha un coefficiente di resistenza alla trazione superiore a quello dei contenitori biodegradabili attualmente in commercio (il polietilene a bassa intensità, o LDPE).
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